/di Marilù Anaclerio
Tutti ce ne parlano, ma non sempre capiamo effettivamente cosa essa sia e quali sfumature la determino.
Spesso la contestiamo, ritenendola una lettura approssimativa e parziale della nostra professionalità.
Ma che cos’è questa famosa “prima impressione”? … Temporalmente parlando, si tratta di quei due minuti iniziali del colloquio nei quali il selezionatore fotografa il nostro dress code e la sua appropriatezza o meno alla posizione da ricoprire, il nostro standing, la nostra presenza ed assertività, la nostra maturità relazionale e, last but not least, la nostra proprietà di linguaggio.
Penserete voi: “E tutto questo avviene in due minuti??…Non è possibile! E’ una lettura penalizzante della nostra pluriennale esperienza professionale…”. Eppure non lo è.
Il recruiter (da intendersi come professionista consolidato e non come colui che elabora delle valutazioni, basandosi su una prima impressione sommaria e fondata su elementi non esperienziali, ma unicamente soggettivi ed istintivi. Esiste ahimè anche questa seconda specie, ma in questo articolo si vuole fare riferimento ai selezionatori “di mestiere”) – che ha studiato bene le caratteristiche del profilo ricercato – andrà ad effettuare una sorta di escalation valutativa che comincerà con la presa d’atto e la conferma di quelli che sono i requisiti essenziali del ruolo e le affinità rispetto al contesto, per poi scendere sempre più nell’approfondimento dei contenuti. Questo avviene, perchè sarà chiaramente poco utile continuare nella conversazione, laddove già i requisiti essenziali venissero meno. Per comprendere tale dinamica, dobbiamo cercare quanto più possibile di capire le ragioni di un selezionatore, che sia esso aziendale o di una società di recruitment, il quale ha come priorità imprescindibile quella di soddisfare al 100% le richieste del cliente interno od esterno che ha commissionato (e, nel caso di una società di selezione esterna, pagato) l’incarico.
Cosa possiamo fare, quindi, per non venir meno alle regole auree della “prima impressione”? Di seguito qualche breve consiglio:
- Abito appropriato ad un colloquio. Chiaramente dipende dal tipo di ruolo e di contesto nel quale si andrà ad operare e che non sempre possiamo conoscere in anticipo. L’importante, però, è che la nostra immagine sia curata, ordinata e adeguata ad una situazione formale di prima conoscenza.
- Atteggiamento presente, consapevole ed energico che farà sì che da subito riusciamo a manifestare motivazione, maturità relazionale, approccio proattivo al cambiamento. Inoltre è un modo per mantenere alta e costante l’attenzione del recruiter sin dalle prime fasi.
- Corretta gestione dell’emotività, per quanto ovviamente essa sia parzialmente contemplata in un colloquio che va a valutarci nel nostro background. Una sua corretta canalizzazione ci consentirà di non divagare, di mantenere la concentrazione sugli aspetti centrali delle nostre capabilities e, perché no, di poter aspirare a dei ruoli anche di crescita che magari richiedono delle doti di managerialità che, seppure non possediamo come esperienza fattiva, fanno comunque parte di noi e delle nostre potenzialità.
- Anche la postura è uno specchio importante della nostra capacità o meno di comunicare. Ricordiamoci da subito di avere una postura eretta, una padronanza della gestualità, evitando di tenere braccia conserte o mani chiuse tra le gambe, entrambi atteggiamenti che potrebbero denotare insicurezza, rigidità, passività e parziale chiusura.
- Il vocabolario appropriato, per quanto possibile privo di eccessive inflessioni dialettali o modi di interloquire gergali, farà sì che il contenuto dei miei argomenti arriverà in maniera diretta, “pulita” e che possa rendermi adatto a svolgere una mansione anche in un contesto maggiormente polite, nel quale la forma ha la sua rilevanza.
Rispettare queste regole renderà il recruiter più favorevolmente predisposto all’ascolto e all’approfondimento dei contenuti, chiaramente altrettanto fondamentali ai fini della valutazione complessiva, ma che si rischia di non avere la possibilità di affrontare nel giusto modo, laddove si condizioni da subito il selezionatore con una prima impressione non appropriata.
Mai dimenticare, poi, che anche il recruiter più in gamba è comunque un essere umano e, quindi per quanto possa essere oggettivo nel suo giudizio generale, si farà comunque sempre condizionare da una – seppur minima – valutazione soggettiva legata al grado di affinità ed empatia che il candidato/a sarà riuscito a trasmettergli.
Questo significa che, sia per motivi legati al rispetto dei canoni della selezione forniti dal cliente, sia per delle umane valutazioni soggettive, la prima impressione gioca e giocherà sempre un ruolo fondamentale e abbastanza discriminante rispetto alle fasi successive dell’iter selettivo.
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