N. 5 | INTERVISTA A: LUCA SANNINO

Parliamo di Personal Branding con Luca Sannino, esperto di personal branding, comunicazione e social media ed è docente e collaboratore SDA Bocconi.


Che cosa significa personal branding e che valore ha?

«Fare personal branding significa lasciare una traccia di sé. Ma per comunicare bisogna aver prima chiaro che cosa si vuole condividere. La premessa necessaria è creare un focus sulle proprie abilità, competenze, capacità secondo il detto “prima di insegnare qualcosa devi averlo bene insegnato a te stesso”. Un percorso su di sé è alla base di tutto. Un’identità on line e off line è fondamentale per farsi individuare velocemente e distinguersi nel mercato del lavoro. Si parla quindi di comunicazione efficace, di riconoscibilità, di dare agli altri la possibilità di capire quale problema io posso risolvere con il mio lavoro. Quel che è poco percepito è il lavoro di preparazione. Non si può improvvisare. Il messaggio deve essere chiaro, si deve studiare l’audience e sviluppare un discorso che possa essere subito capito».


Qual è lo strumento principe del personal branding?

«Tutto quello che stiamo facendo è branding ma è tutto personal cioè si basa sulle proprie esperienze perché ogni persona è un brand diverso. Solo se il lavoro sarà ben fatto il mercato intuirà che non potrà trovare una competenza uguale a quella che io posso portare. Chiedermi “come faccio a distinguermi sul mercato?” è l’unico strumento possibile. C’è un altro concetto da sfatare: è uno strumento in aggiunta utile se lo si affianca ai vari canali, come l’invio del cv.

Nella mia esperienza di consulente chi fa personal branding ha una carta in più da giocare e il mondo del lavoro inizia a cercarti perché sa che puoi rispondere a un problema. Se ci si limitassimo al cv leggeremmo definizioni che però sono vuote di identità. Presentarsi, ad esempio, solo come Cfo non è più sufficiente: è una posizione uguale a quella di migliaia di persone. Questo ostacolo proviene da una cultura di keywords che ha causato un effetto parallelo di appiattamento del mercato. Chi fa personal branding invece identifica chi è e si distingue. Un Cfo, ad esempio, si può presentare scrivendo “sono 15 anni che lavoro in questa azienda”, un altro invece può dire “ho seguito alcune start up su certi problemi avendo capito nuove applicazioni e le ho messe on line dove le puoi consultare”. C’è molta differenza ed è lì che crei il brand. Il secondo ha già fatto un pre-colloquio perché io so di cosa può parlarmi. Così si offre la possibilità ad altri di andarlo a cercare».


Da dove partire per fare personal branding?

«Si parte sempre da una identità e si continua con una strategia. Essendo personal branding, i canali devono essere vestiti su misura per la professione che si svolge o si vorrebbe svolgere. Affinché si parli di strategia si pensi a come funziona Tripadvisor di cui tutti abbiamo fatto esperienza: a chi sta cercando un ristorante restituisce una serie di informazioni provenienti da altre persone ritenute di fiducia.

Nel campo del lavoro se cerco un esperto di un tema specifico e vedo che molti si riferiscono allo stesso inizio a fidarmi. Se poi di lui posso leggere i post, magari uno o due a settimana, quando mi si presenterà un problema proprio lui sarà la prima persona che mi verrà in mente per risolverlo. Partecipare alla discussione su gruppi di LinkedIn, arricchire la propria bacheca fa spiccare le mie conoscenze. Salvatore Aranzulla ha un personal branding incrollabile, è l’uomo che risolve problemi. Attenzione, con questo intendo che non solo risolve ma in che modo lo risolve, portando quale valore, quale dinamica nuova. Il personal branding è per tutti con strategie diverse: la persona con molta esperienza può giocare i suoi successi, la persona con poca esperienza può mettersi in gioco con una mente più fresca. Non esiste solo la strada battuta ma anche i sentieri laterali».


Cosa non è personal branding? Quali sono gli errori da evitare?

«Non è una televendita, non è parlare il più possibile per farsi vedere, non è creare un brand bellissimo senza legarlo a sé o essere una copia di altre aziende. È la stessa differenza che corre tra una commodity e un brand: poter fare esperienza di una identità.

  • Il primo errore è non esserci.
  • Il secondo è non ritirarsi.

Porto un esempio di due case automobilistiche: su una delle due pagine social è esploso un caos. La prima casa ha chiuso la sua pagina. Cosa ha fatto la concorrente? “Venite da noi a esprimere la vostra opinione”. Quello che succede on line succede comunque. Il problema non è non esserci. Se si parla male di una persona si parlerà comunque male anche in sua assenza. Quello che dà la possibilità è rispondere nel proprio campo da gioco e convogliare tutti gli attacchi in un unico luogo per controllare il flusso.

Gestire la comunicazione è possibile. Gli utenti da nemici possono diventare alleati. Ogni volta che ci si espone si possono trovare pareri discordanti ma non esprimersi sarebbe come non parlare mai per paura di essere contraddetto. Impossibile. Questa è la realtà.Pronto per iniziare? Dai valore alla tua unicità professionale![/vc_column][/vc_row]

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