OFFBOARDING, QUI CI VUOLE UNA STRATEGIA

L’importanza dell’offboarding, la testimonianza di un lavoratore:

«La fase di offboarding è importante eccome. Dico solo che quando ho deciso di lasciare il mio lavoro in una grande azienda per proseguire la carriera in una Pmi, non vedevo l’ora di uscire da quella realtà. Troppe delusioni, troppe occasioni perse, troppa amarezza per come ero stato trattato.

Mi è rivenuto in mente il giorno dell’assunzione, la gioia che ho provato nell’entrare in quella grande e importante organizzazione. La coronazione di anni di sacrificio. Ho amato il mio lavoro, ma con gli anni la passione si è via via affievolita e non solo per mia responsabilità. Ma al pranzo d’addio con i miei colleghi sono rimasto sorpreso quando ho visto entrare l’Hr manager che voleva ringraziarmi personalmente per il lavoro che avevo svolto dicendomi che avevo un invito aperto a tornare in azienda se le cose non fossero andate bene.

Quelle poche e semplici parole sono bastate per farmi dimenticare la rabbia e lo scontento che avevo accumulato negli ultimi anni e a farmi rivalutare l’azienda che stavo lasciando».

La testimonianza di Giuseppe, 40 anni, quadro intermedio in una Pmi, la dice lunga su quanto sia importante per le imprese gestire in modo strategico l’uscita delle persone dalla propria organizzazione.

Poca attenzione all’offboarding da parte delle aziende

Peccato che oggi la maggior parte delle direzioni Hr sia concentrata sulle strategie di onboarding. Obiettivo: accaparrarsi i migliori talenti sul mercato per arginare l’alto turnover aziendale, dimenticando però che, in tempi di dimissioni volontarie, la fase di uscita diventa importante tanto quanto quelle dell’attraction e dell’accoglienza.

Non solo perché conoscere le motivazioni che hanno spinto una persona a lasciare l’azienda può servire per mettere a fuoco mirate politiche di engagement con l’obiettivo di migliorare l’ambiente di lavoro e la vita professionale di chi resta nell’organizzazione ma anche perché, quando un dipendente decide di dimettersi, con lui se ne vanno frammenti importanti di know how, cultura aziendale, competenze e relazioni professionali costruite nel tempo che, se mal gestite, rischiano di trasformarsi in un pericoloso boomerang.

Una buona politica di offboarding aiuta la sicurezza e la reputazione aziendale

Senza contare il fatto che i lavoratori in uscita restano, di fatto, degli ambasciatori del brand aziendale. Proprio per questo Alison Dachner, docente di management presso la John Carroll University, ed Erin Makarius, docente di management presso l’Università di Akron, sulle pagine dell’autorevole Harvard Business review, sostengono che sviluppando un processo di offboarding più forte, un’organizzazione può accrescere la sua competitività sul mercato, perché aiuta a legare al marchio i dipendenti e a tenere alta la reputazione dell’impresa. Il che torna poi utile nel momento in cui si ha la necessità di assumere nuove risorse.

Una volta che i dipendenti lasciano, infatti, si sentono liberi di condividere le loro opinioni sull’ex azienda e spesso lo fanno su piattaforme e siti web che sono potentissime casse di risonanza. Basti pensare, per esempio, all’impatto che hanno le recensioni su Google, LinkedIn e Glassdoor, sulle opinioni di potenziali dipendenti o concorrenti e sull’immagine aziendale.

Se poi è vero che, come ha rilevato un recente studio condotto da TechRepublic, fornitore di sistemi It professionali, gli ex dipendenti rappresentano una delle “minacce informatiche più grandi”. In base alla ricerca, infatti, il 48% delle società sono convinte che gli ex dipendenti siano ancora in grado di accedere alla rete aziendale anche dopo la loro fuoriuscita. Motivo in più per comprendere quanto sia importante gestire in maniera amichevole e costruttiva la chiusura di un rapporto di lavoro.

Offboarding fa parte della cultura d’impresa

«Rinforziamo la nostra cultura aziendale ogni volta che ne abbiamo l’occasione. I nostri principi sono in prima linea in tutto ciò che facciamo e dobbiamo renderli parte di ogni conversazione importante in azienda», raccomanda dalle pagine dei media interazionali Jamie Dimon, Presidente e CEO di JPMorgan Chase & Co, una delle 4 più grandi banche americane.

E il rafforzamento della cultura aziendale dovrebbe comprendere anche il processo di offboarding. Eppure, in base a uno studio condotto da Aberdeen, società di ricerca made in Usa, oggi solo il 29% delle organizzazioni ha attivato un valido programma di gestione delle uscite di personale. Questo significa che quasi tre aziende su quattro (70%), hanno l’opportunità di migliorare la gestione delle uscite dei propri dipendenti, facendole diventare importanti opportunità di crescita.

Come sviluppare una strategia di offboarding

Ma attenzione, una gestione attenta dell’offboarding va ben oltre la raccolta di chiavi, cellulare, pc, badge e scartoffie varie, una manciata di minuti prima che un dipendente varchi per l’ultima volta la porta dell’ufficio. Per trasformarlo in una vera e propria leva strategica deve essere decisamente più strutturato. Quattro gli step principali individuati dagli esperti di gestione delle risorse umane:

      • Iniziare subito a pubblicizzare il posto di lavoro vacante per evitare che il vuoto possa pesare eccessivamente sul business dell’organizzazione. E in tempi in cui i talenti scarseggiano questa è una mossa tutt’altro che banale.
      • Pianificare in tempo utile il colloquio di uscita in modo da ottenere informazioni preziose sui motivi delle dimissioni ed evitare problemi una volta che il dipendente se ne è andato. Questo è il momento ideale per chiedere alle persone in uscita la loro esperienza con l’azienda, facendo attenzione a costruire un momento di confronto basato sull’ascolto e sul confronto sincero.
      • Puntare sempre a mantenere il colloquio positivo facendo tesoro dei feedback ottenuti per migliorare l’esperienza dei dipendenti rimasti e gli sforzi futuri di fidelizzazione.
      • Condividere i feedback del colloquio con il manager di riferimento della persona in uscita, in modo da affrontare eventuali problemi o identificare le aree critiche che richiederebbero più formazione e supporto.

     

Ma soprattutto è importante capire che il processo di offboarding deve essere in linea con gli stessi valori che l’azienda comunica come vantaggi durante la fase di reclutamento e di onboarding. Una coerenza che alla fine premia perché contribuisce a lasciare un’impressione positiva dell’impresa ai dipendenti in uscita, che così possono continuare a raccomandarla ad altri candidati o addirittura, valutare di ritornare nella vecchia azienda in futuro.

elizabethkirk1

elizabethkirk1

Vuoi maggiori informazioni sui nostri servizi?

Categorie

Ultimi Post

Longevity in azienda: 5 linee guida per iniziare a occuparsene
Longevity in azienda: 5 linee guida per iniziare a occuparsene

"I trend demografici riguardano sempre più le organizzazioni e la longevità è oggi al primo posto; è necessario che venga vista come una risorsa, piuttosto che come una criticità." Queste le parole di Alessandra Giordano direttore Employability e Career Development di...

PERCORSI DI OUTPLACEMENT: INTERVISTA A MICHELA CIMMINO
PERCORSI DI OUTPLACEMENT: INTERVISTA A MICHELA CIMMINO

“Dopo diversi anni a lavorare sodo in una multinazionale, è come se non sapessi vederti fuori da lì, in una forma o un ruolo differente. Perciò, quando ho accolto l’esodo agevolato, ho avuto bisogno di qualcuno che sostenesse il mio percorso, un cammino durante il...

Longevità al lavoro: le 5 mosse per farne un’opportunità
Over 55 e aziende: prepararsi alla stagione dei longennials

"Con l’allungamento della vita media spesso in salute, con prospettiva di vivere anche oltre 30 anni dopo il pensionamento, ma con importi pensionistici sempre più bassi, la longevità ormai fa parte della nostra quotidianità." Così inizia l'articolo scritto da Cetti...

PERCORSI DI OUTPLACEMENT: INTERVISTA AD ANDREA QUADRINI
PERCORSI DI OUTPLACEMENT: INTERVISTA AD ANDREA QUADRINI

Ha lavorato in multinazionali, aziende familiari e pubbliche, per circa 35 anni (dei quali 12 vissuti all’estero), oggi Andrea Quadrini, al suo ingresso nella sessantina, affronta una nuova fase della sua vita, quella di senior advisor in una dimensione di maggior...

OVER55, COSÌ CAMBIANO LE LEVE MOTIVAZIONALI
OVER55, COSÌ CAMBIANO LE LEVE MOTIVAZIONALI

Motivati, ingaggiati, preparati. La motivazione al lavoro è indipendente dall’età? Sì, dicono in coro accademici e studiosi della materia. Per essere più precisi si potrebbe dire che con l’età cambia non tanto la possibilità di essere motivati, ma ciò che motiva. Così...

PERCORSI DI OUTPLACEMENT: INTERVISTA A CARLO BIANCHINI
PERCORSI DI OUTPLACEMENT: INTERVISTA A CARLO BIANCHINI

La serenità professionale attrae opportunità Carlo Bianchini racconta il proprio percorso professionale partendo da qualcosa che lavoro non è: apre con la sua vita privata (la moglie, il figlio che studia ingegneria al Politecnico di Milano), l’importanza delle sue...

VOGLIO FARE CARRIERA. I PRIMI PASSI PER INIZIARE BENE
VOGLIO FARE CARRIERA. I PRIMI PASSI PER INIZIARE BENE

Carriera in ascesa: un desiderio non per tutti Il desiderio di una carriera in ascesa verticale non è obbligatorio. Partiamo da questa premessa perché non è per tutti e non lo è, soprattutto, in tutte le fasi della vita la volontà di accelerare sulla propria...

QUANDO LE AZIENDE SOGNANO IL “POSTO FISSO”
QUANDO LE AZIENDE SOGNANO IL “POSTO FISSO”

È necessario che le aziende puntino anche sulla formazione continua per mantenere alto l’engagement sul posto di lavoro Sono triplicati, in dieci anni, gli insoddisfatti del proprio posto di lavoro. Il dato è recentissimo, fa riferimento alla media italiana, e...