Gli expat sono stati una sigla, un fenomeno, un’etichetta mediatica, una moda?
Gli expat, gli italiani espatriati per lavoro, sono uomini e donne che negli anni scorsi hanno scelto di cambiare strade, città e Paese per favorire una crescita professionale, per poter migliorare la soddisfazione personale ed economica che in Italia continuava a non trovare la giusta misura. Laureati, diplomati, medici o camerieri: sono diversissime le storie e le professioni di chi si è trasferito oltre frontiera. Ecco, ora molti di quei volti varcano di nuovo i gate degli aeroporti italiani, ma in direzione contraria, per tornare.
Le ragioni sono molteplici, misteriose a tratti e quindi impossibili da scandagliare e da rendere uniformi in una definizione. Ma alcune di queste ragioni accomunano le storie: una nostalgia per la famiglia, il desiderio di crescere i figli nella propria città, il bisogno di tornare per stare accanto ai propri cari. Pensieri che spesso hanno tolto il sonno agli expat e che la pandemia ha reso urgenza. È così che molti expat stanno tornando.
Ma cosa trova un expat al rientro? Ci sono casi in cui le offerte di lavoro del nostro Paese sono molto allettanti e tengono conto di tutta l’esperienza acquisita all’estero negli anni.Ma ci sono anche casi in cui si crea come una livella, una mancata considerazione dei cosiddetti “cervelli di ritorno”, di quel che si è stati, di quel che con fatica si è riusciti a costruire con molteplici sacrifici parlando un’altra lingua, immergendosi in culture e mentalità diverse da quelle italiane. Insomma, c’è un fattore critico che ne accompagna il ritorno: la posizione acquisita all’estero, la carriera che si è svolta secondo una linea abbastanza uniforme, alle volte viene interrotta. Lo stipendio più basso, un ruolo differente, dover impegnarsi in responsabilità già assunte e rispetto alle quali si dovrebbe andare avanti invece che sostare o fare addirittura un passo indietro.
Non trovare in Italia la stessa posizione che ci si è lasciati all’estero, però, può diventare la possibilità per cambiare mentalità, iniziare a guardare al proprio percorso non come una carriera semplicemente verticale, un ascensore chiaro, bensì come in orizzontale. Possibile? Sì, ma è determinante un cambiamento di pensiero: il mettere a frutto conoscenze e capacità non solo tecniche, specifiche ma dare spazio alla forma della propria personalità. Sono le cosiddette soft skills che permettono di affrontare l’esperienza in una maniera più duttile.
Scende in campo, cioè, quella che è ormai nota come resilienza, una malleabilità al cambiamento nel far fronte alle difficoltà, dovuta solo a quel che si è vissuto e acquisito nel tempo. Essere positivi, saper fare squadra, tendere alla felicità, non abbattersi. Questi sono alcuni degli ingredienti che possono concedere non solo di resistere, ma di essere proattivi in una situazione che sulla carta sarebbe solo sfavorevole, mentre è l’anticamera per un nuovo cambiamento, per una scoperta, anche in terra natia.