«È la vita, la vita di chi lavora, nient’altro che la vita di chi lavora»
Così canta Bruce Springsteen in Factory. Fischia la sirena della fabbrica, l’uomo si alza dal letto, si veste, prende il suo pranzo, lavora e torna a casa.
È tutta qui la vita di chi lavora? Il primo maggio può essere l’invito a guardare sinceramente in faccia un interrogativo, la domanda su cosa sia il lavoro e le sue ragioni.È una routine, un dovere, un’opportunità?
La prima considerazione è che, in fondo, il soggetto del lavoro è la persona; è una considerazione non scontata perché troppo spesso ci si lascia trascinare dagli ordini del giorno, dalle riunioni, dalle to do list dimenticandosi però di noi stessi. Siamo noi a fare (oppure no) la differenza, ancor più di un brevetto o di un prodotto tecnologicamente avanzato: il nostro talento, la creatività, le skills tecniche e non tecniche. Il solo saper fare, le competenze acquisite non saranno mai sufficienti, se non quotidianamente accompagnate dalla vivacità della nostra persona, dal desiderio di non lasciar passare via nemmeno una giornata di lavoro.
La seconda considerazione, realistica, è che il lavoro sa mettere in crisi la persona. Il lavoro è sfida, complessità… È un luogo, cioè, dove è messa alla prova la fiducia in noi stessi, la stima – a volte così ridotta – che nutriamo verso chi siamo.Non dobbiamo smorzare questo impatto, ma lasciare che provochi in noi un moto nuovo.
Ecco che la terza considerazione, allora, sa unire le prime due: solo la persona potrà essere la protagonista del superamento di quella crisi dello status quo che il lavoro provoca. Solo così le inclinazioni naturali, l’aggiornamento continuo, le sfide del mercato accolte e non subìte contribuiranno a farci andare al lavoro con curiosità.
Il lavoro sarà, così, la messa alla prova di quanto desiderio di vita ancora ci è rimasto addosso. E allora che festa sia, una vera rinascita. Buon 1 maggio!