“Mi sono sbloccato”.
Con queste parole Marcell Jacobs, l’uomo più veloce del mondo, ha provato a mettere a tacere le illazioni sul repentino miglioramento dei suoi tempi e offre una chiave di lettura che ci interroga.
Dopo anni in cui il corpo era pronto, ma risultati eclatanti non arrivavano come avrebbe voluto, l’autentico cambio di passo è arrivato grazie al lavoro profondo con una mental coach.
Una professionista, ringraziata a più riprese pubblicamente, che l’ha portato ad affrontare i fantasmi chiusi a doppia mandata in un cassetto, eppure sempre lì a inficiare quella stabilità personale che è la premessa di ogni grande impresa.
È la lezione che abbiamo imparato durante la pandemia: abbiamo visto aziende mobilitarsi, mettere progetti e denari sul wellbeing come mai prima.
Perché? Perché non esiste più separazione tra vita personale e sfera professionale. La vita è una, il lavoro non è lo strumento per rimpinguare il conto in banca e poter finalmente evadere, ma parte integrante della soddisfazione del singolo.
È la nuova frontiera del lavoro, quello che non concepisce sé stesso solo come fatica, quello che non si ferma perché è intriso di formazione continua, di cambiamento, di obiettivi e di sogni.
Come i tanti atleti che queste Olimpiadi ci hanno portato a conoscere, persone che cadono, che si infortunano, che attraversano momenti bui (la decisione di Simone Biles – in questo senso – è emblematica, sempre a proposito di stabilità personale), ma mettono tutto ciò che hanno, corpo e mente, nell’affrontare la realtà che hanno davanti, partendo prima di tutto da sé.