La letteratura manageriale li indica come una delle principali fonti di talento, peccato però che le potenzialità dei dipendenti interni non vengano sfruttate in modo opportuno dalle aziende, che ancora troppo frequentemente preferiscono rivolgersi al mercato per ingaggiare nuove forze.
Una inversione di tendenza che ha preso il via negli Anni ’70 ed è incrementata nel tempo. A confermare il trend è stata la Harvard Business review, in base alla quale, se dalla fine della Seconda Guerra Mondiale agli Anni ’70 le aziende colmavano circa il 90% dei loro posti vacanti attraverso promozioni e mobilità interna, oggi lo fanno al massimo per il 30%.
Non solo. Stando a quanto rilevato da una ricerca di Gartner, nell’ultimo anno solo il 33% dei dipendenti a caccia di un nuovo lavoro ha dato la precedenza alla ricerca di posizioni aperte all’interno della loro azienda.
Le motivazioni secondo gli esperti sono tre.
La prima è che spesso i team HR non hanno ben chiaro il quadro completo della forza lavoro presente in azienda.
La seconda è che i dipendenti spesso non sono a conoscenza delle posizioni aperte all’interno della loro organizzazione o delle opportunità di avanzamento di carriera.
La terza è la scarsa consapevolezza che i lavoratori hanno delle loro competenze e di come potrebbero essere impiegate nella società in cui si trovano.
Tre punti sui quali le aziende devono lavorare ora più che mai, perché in un contesto di mercato dove il tasso di dimissioni aumenta alimentando il turnover e mettendo a rischio il business aziendale, la mobilità interna delle risorse gioca un ruolo decisamente importante per gestire una delle più grandi sfide che le risorse umane devono affrontare: la carenza di talenti e di competenze qualificate.
Obiettivo: motivare e limitare l’uscita di know how
«La mobilità interna, infatti, è da sempre un aspetto importante sia per lo sviluppo delle persone, sia per quello dell’azienda», spiega Alessandra Giordano, Employability director di Intoo.
«Per il dipendente sapere che l’azienda valuta le sue competenze non solo per il ruolo per cui è stato assunto, ma anche per altri è una leva di retention molto importante. In un contesto di mercato dove si parla fin troppo spesso di employability, sapere che nell’organizzazione dove si lavora si ha la possibilità di crescere e di sviluppare le proprie competenze fa la differenza sul fronte della motivazione e dell’engagement del personale. Cosa da non trascurare di questi tempi», aggiunge Giordano.
«Mentre per le aziende la mobilità interna è strategica perché dà l’opportunità di ricoprire ruoli vacanti con personale che già conosce sia dal punto di vista personale che professionale. Un vantaggio competitivo non da poco rispetto ad assunzioni di personale esterno».
Se a tutto questo si aggiunge che a ogni dimissione corrisponde a un’uscita di know how aziendale, valori interni e network, è facile capire quanto sia strategico per le imprese facilitare i processi di mobilità interna.
I punti su cui la direzione HR si deve concentrare
Il primo fronte su cui lavorare è quello della comunicazione.
La user experience del candidato interno rappresenta uno dei punti deboli su cui concentrare le forze: career site e job description fatte male, scarsa comunicazione interna portano a scoraggiare le ambizioni dei dipendenti in tema di mobilità interna.
I lavoratori devono avere ben chiaro quali sono le posizioni aperte e quali sono le opportunità professionali interne. Gli strumenti tecnologici per farlo non mancano di certo: dai sistemi di messaggistica istantanea alla piattaforma di comunicazione interna, c’è solo l’imbarazzo della scelta.
Come stimolare la candidatura interna
L’importante è stimolare e facilitare la candidatura interna. Come? «La metodica più opportuna da usare è l’autocandidatura della persona interessata. Quindi è fondamentale la totale trasparenza nel comunicare le posizioni così come la creazione di una cultura della mobilità interna perché, sia ben chiaro, per il candidato aderire a una posizione interna è decisamente più difficile che farlo sul mercato», avverte Giordano.
«Prima di mostrare interesse la persona deve, infatti, avere ben chiaro quali sono i valori che può dare al nuovo ruolo. Quali sono le esperienze che possono fare di lui il candidato ideale per ricoprire quella posizione. In più deve essere consapevole che si troverà ad affrontare anche l’opinione che su di lui o lei si sono fatti nel tempo i manager di riferimento, che poi saranno anche quelli che dovranno valutare la candidatura», aggiunge Giordano.
Una volta studiati tutti questi aspetti, diventa poi responsabilità della persona aderire o meno alla candidatura e prepararsi per sostenere il colloquio.
Il ruolo strategico del management
«Un processo, quello della mobilità interna, per nulla scontato, fatto di una serie di step precisi. Stimolare le candidature interne presuppone, infatti, investire in formazione continua in modo da avere sempre persone preparate, motivate, ingaggiate. E una cultura aziendale adeguata che parte dalla formazione dei manager», afferma Giordano.
Il che significa che il management non solo deve crederci, ma anche investire in termini di attenzione ai dipendenti e nell’offerta di opportunità di crescita professionale. «Evitando di avere qualsiasi tipo di pregiudizio su di loro. Ci vogliono mentalità aperte, flessibili e orientate allo sviluppo delle risorse. Le persone vanno fatte crescere in un’ottica strategica per l’azienda, altrimenti vanno in cerca di altro», chiosa Giordano.