Passare dal Pil (Prodotto interno lordo) al Fil (felicità interna lorda) è un passaggio cruciale attorno al quale molte aziende e organizzazioni stanno dibattendo. Creare ambienti di lavoro positivi per fare la differenza ed essere più competitivi.Del resto i numeri parlano chiaro. In base ai dati presentati all’ultimo meeting di CareerStar Group da Lars Kure Juul, autore di Organizational Happiness e di diversi altri best seller, un’attenta gestione delle risorse umane che favorisca la creazione di un ambiente di lavoro sereno, dove le persone si sentono realizzate e a loro agio, ha effetti positivi sul turnover aziendale che scende fino al 73%, ma anche sulle assenze per malattia (-37%), gli incidenti sul lavoro (-59%), lo stress e le depressioni (- 400%).
E a guadagnarci sono le performance e la produttività che in base agli studi dell’esperto danese aumenta del 31%. In salita anche le vendite del 19% e i profitti del 29%. Così come la retention del personale che aumenta del 44%.
Lavorare serenamente e senza pressioni, inoltre, alimenta la creatività dando una spinta all’innovazione di oltre il 300%. Persino l’immagine esterna dell’azienda ne beneficia visto che l’engagement sale del 23%.GOOGLE PIONIERA DELLA FELICITA’
Tutti dati che sono stati testati e confermati anche da Sonja Lyubomirsky, docente del Dipartimento di sociologia presso l’Università della California e autrice di The How of Happiness, un libro di strategie basate su ricerche scientifiche per incrementare la felicità, incrociando i dati di ben 25 studi accademici.
Una delle prime aziende ad avere capito bene il potere della felicità in azienda e ad averne fatto uno dei suoi capisaldi è stata Google che ha deciso addirittura di avere al suo interno un CHO (Chief Happiness Officer) con il compito di misurare il grado di soddisfazione dei dipendenti, individuare strategie per migliorarlo e creare le condizioni per incrementare la felicità in azienda.L’ATTENZIONE ALLE PERSONE FA LA DIFFERENZA
Negli Usa, la strategia del sorriso e del pensiero positivo è ormai consolidata tanto che sono nate società di consulenza ad hoc come Delivering Happiness, con manager che viaggiano per diffondere i principi della felicità. Lo stesso ha fatto Plasticity Labs, società Hi tech nata da una start up chiamata L’epidemia del sorriso, che ha affermato di sostenere un miliardo di persone nel loro cammino verso la felicità sia nella vita personale sia in quella professionale. E ci sono anche guru del settore come Shaw Achor, insegnante dell’Università di Harvard che ora gira il mondo portando nelle grandi compagnie internazionali i principi per trasformare la soddisfazione dei propri dipendenti in un vantaggio competitivo.
Il motivo di questo successo è tanto semplice da sembrare banale: se mostri attenzione verso le persone, se ascolti i loro bisogni, se riscopri e dai spazio al lato umano delle relazioni, se li fai sentire parte della squadra, del progetto, se condividi con loro progetti, preoccupazioni, vittorie e sogni puoi ottenere risultati impensabili.I PIANI WELFARE E IL CHO NON BASTANO
In Italia la filosofia della felicità in azienda si sta facendo strada soprattutto nelle grandi imprese, con qualche rara eccezione anche nelle Pmi, ma non siamo certo ai livelli americani o dei Paesi nord europei. La guardiamo ancora con sospetto e, diciamolo sinceramente, non ci crediamo fino in fondo. Molti sono quelli che la bollano come una moda passeggera destinata a fare il suo corso. Così nella maggior parte dei casi la applichiamo a metà introducendo qualche benefit e qualche corso di formazione mirato nei nostri piani di welfare aziendale e a volte arriviamo persino a introdurre un manager della felicità. Ma non basta. Prova ne è che nella ricerca Jobstacles, firmata da Linkedin che ha coinvolto 1000 lavoratori italiani, solo il 35% dei di essi considera il proprio lavoro assolutamente stimolante, il 39% pensa che la propria posizione di lavoro sia soddisfacente, mentre il 27% delle persone pensa che potrebbe essere di sicuro più felici altrove.Per dare i risultati elencati dalle ricerche condotte da Lars Kule Juul e dalla Lyubomirsky ci vuole ben altro. Parlare di cambiamento, team, people management, stress, welfare senza passare dalla felicità, vuol dire portarsi a casa un risultato nettamente inferiore in termini di efficacia formativa e di performance.
Le persone non cambiano solo perché c’è un formatore bravo a spiegargli che devono farlo e non imparano a lavorare in team solo perché capiscono che così l’azienda funziona meglio. Le persone cambiano se capiscono che, in questo modo, loro per prime hanno qualcosa da guadagnaci in termini di benessere, felicità, soddisfazione.
Dunque iniziamo a innestare contenuti legati alla felicità anche nei percorsi formativi più “tradizionali” in azienda. Perché come dicono molti esperti del settore la felicità si deve allenare, non deve essere un momento fine a se stesso, ma va coltivata.♦ 4 PASSI VERSO LA FELICITA’
Passando dalla teoria alla pratica: cosa si deve fare in una organizzazione per rendere i dipendenti felici?
- Mettere le persone giuste al posto giusto ovvero far ricoprire a ogni persona il ruolo che meglio si adatta alle sue capacità, perché solo così può dare il meglio di sè e sfruttare al massimo il suo potenziale.
- Riconoscere in modo onesto e trasparente i risultati raggiunti da un team. Se un collaboratore viene valorizzato per il lavoro che svolge, ha voglia di spendersi di più per l’azienda e dà così il via a dinamiche positive che giovano al clima interno e al business della società.
- Non risparmiare apprezzamenti onesti e sinceri ai lavoratori che se lo meritano, date feedback veloci, positivi ed efficaci, siate buoni ascoltatori non selettivi o finti, ma empatici. Perché, come dicono i risultati dell’autorevole Harvard Grant Study (ricerca durata ben 75 anni per scoprire i segreti del sorriso), le persone sono felici quando le loro relazioni con le altre persone sono migliori.
- Far sentire importanti gli altri è fondamentale perché solo un team gratificato si può trasformare in un esercito fedele. Ma va fatto sinceramente, perché altrimenti si diventa manipolatori, non motivatori.
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