COME VALORIZZARE I SENIOR

Valorizzare i senior. Questo il nuovo imperativo delle aziende più illuminate.

Ne è un esempio David Nieper, società inglese a conduzione familiare del settore della moda, che sul suo libro paga ha un direttore di 93 anni, polilingue con un buon network professionale e un back ground da dirigente in alcune delle più grandi aziende di abbigliamento per corrispondenza d’Europa.

Per Christopher Nieper, Amministratore delegato di seconda generazione dell’azienda, la sua esperienza è preziosa, così come quella di innumerevoli altri lavoratori più anziani impiegati nelle fabbriche, nei call center e negli uffici dell’impresa. «Ci sforziamo di tenerceli stretti», ha raccontato l’imprenditore al prestigioso quotidiano inglese Financial Times. «Quando qualcuno va in pensione, lo guardo e penso: “Oh no, servono due giovani per sostituire uno che parte”».

La storia di David Nieper la stanno vivendo un po’ tutte le aziende del vecchio continente alle prese con la guerra dei talenti e con l’invecchiamento della popolazione. Basti dire che, solo in Italia, oggi gli over55 costituiscono il 20% della forza lavoro. Numeri che evidenziano quanto sia importante per le organizzazioni attente a non perdere terreno sul fronte della competitività, gestire in modo attivo il personale senior, lavorare sulla loro retention e sul loro engagement favorendo la mobilità interna piuttosto che sviluppando una condivisione interaziendale di competenze chiave. Obiettivo: garantire il passaggio di know-how, che poi è il vero patrimonio di un’impresa.

Senior: un valore aggiunto

Concetti che non tutte le imprese hanno ancora messo bene a fuoco tanto che, stando a un sondaggio realizzato lo scorso novembre dal Chartered Management Institute, l’Ente professionale del Regno Unito, solo 4 manager su 10 si sono dichiarati disposti ad assumere persone di età compresa tra 50 e 64 anni. E in Italia la situazione non è certo diversa.

Un pregiudizio che però, nel tempo, rischia di ritorcersi contro le imprese. L’esodo dei senior dalla forza lavoro, infatti, secondo gli esperti inglesi, è uno dei fattori chiave della carenza di manodopera che affligge le imprese operanti in diversi settori: dalla logistica all’ospitalità, dall’assistenza all’informatica. Motivo in più per limitare gli scivoli che portano verso il pre-pensionamento e lavorare maggiormente sulle strategie di engagement e sui progetti di invecchiamento attivo.

Occorrono nuove logiche del lavoro

Gli strumenti per farlo non mancano. Qualche esempio? Rimodulazione degli orari e delle mansioni, controllo dei carichi di lavoro, cura del benessere delle persone, politiche retributive personalizzate, formazione continua, flessibilità nelle finestre di pensionamento.

«Non sono ricette impossibili e l’azienda non deve fare tutto subito, può perseguire obiettivi parziali con interventi progressivi. L’importante è che abbia predefinito un disegno complessivo da realizzare nel medio periodo in sinergia con la direzione d’impresa», ha detto più volte Tiziano Treu, Professore emerito dell’Università Cattolica di Milano e Presidente del Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro.

Le aziende più attente si sono già attivate. In Inghilterra, per esempio, negli stabilimenti della John Lobb, un’impresa di calzature di lusso, i dipendenti senior hanno iniziato a formarne altri in attività artigianali come la cucitura a mano, il taglio e l’adattamento della pelle, oppure lavorano su ordini su misura che richiedono meno tempo rispetto alla produzione per il prêt-à-porter. Team multigenerazionali che aiutano a creare un ambiente di lavoro stabile, motivato e produttivo.

Qualcosa si sta muovendo anche in Italia, prevalentemente all’interno delle multinazionali, come in  Mölnlycke Italia, azienda leader nelle soluzioni mediche,  dove alcuni senior sono diventati coach di team di lavoro con l’obiettivo di far emergere il talento, far esprimere al meglio il potenziale delle persone e ottimizzare la performance. Solo per fare alcuni esempi.

Non solo flessibilità d’orario

Certo per gli imprenditori tutto questo si traduce nella necessità di ripensare la pianificazione del lavoro in modo da poter fornire il tipo di flessibilità che i lavoratori più anziani desiderano. Là dove per flessibilità non si intende solo quella di orario, ma anche organizzativa dando per esempio alle persone la possibilità di svolgere il ruolo che per esperienza e attitudine sono più adatte a ricoprire, attivando, se è il caso, progetti di mobilità interna o prevedendo orari di lavoro ridotti.
L’intento è sempre quello di valorizzare il più possibile le competenze presenti in azienda, dando così ai senior l’opportunità di affrontare nuove sfide, quindi di restare attivi.

In quest’ottica un over55 può diventare, per esempio, un mentore non solo per figure più junior ma anche per la persona destinata a ricoprire il suo ruolo (se identificata con il giusto anticipo). Ma può anche lavorare su progetti innovativi, partecipare al lancio di startup di nuove unità aziendali; dare il suo contributo in progetti di sviluppo organizzativo riguardanti singole funzioni o interi siti produttivi; svolgere una stessa funzione per più realtà, in caso possegga competenze verticali o manageriali molto spiccate.

Insomma le strade per valorizzare i silver ci sono, ora spetta ai datori di lavoro rivedere i loro atteggiamenti. E non c’è tempo da perdere. L’età, infatti, sta diventando il nuovo punto focale dell’agenda della diversità e dell’inclusione.

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