Nel rapporto tra dipendenti e aziende qualcosa si è rotto. Così sono sempre più numerosi i lavoratori che vanno alla ricerca di nuovi posti di lavoro.
Ma ci siamo mai chiesti perché lo fanno? Ascolto e attenzione continua sono le fondamenta di ogni politica di engagement efficace. Ci sono giovani come Pietro, 28 anni, una laurea in economia in tasca, che recentemente ha deciso di abbandonare la sua posizione di consulente, non solo per i pesanti ritmi di lavoro, ma anche perché lo stava portando troppo lontano dalle sue convinzioni. O Alessandra, 35 anni, laureata in Filosofia e direttore di un grande punto vendita in franchising, che in piena pandemia ha rassegnato le dimissioni perché schiacciata dalle responsabilità, dallo stress e dall’incertezza sul suo futuro.
Ma ci sono anche 50enni come Daniele, impiegato da tempo in una prestigiosa multinazionale, sposato, un figlio di 11 anni, che ha deciso di mollare tutto perché il suo lavoro lo portava a passare troppo tempo all’estero lontano dalla famiglia e ha trovato una nuova occupazione in un’azienda più vicina a casa. Il reddito annuale si è decisamente abbassato ma cenare con moglie e figlio tutte le sere non ha prezzo.
Oppure Simona, 45 anni, quadro in una classica Pmi nazionale, che ha deciso di cambiare azienda perché dopo anni passati a lavorare duro si è sempre sentita poco apprezzata dai suoi superiori. Mai un grazie, mai un avanzamento di carriera, mai nulla. Solo problemi da risolvere e in fretta. Così si è messa a cercare altro e ha trovato un nuovo inizio in un’azienda che corrisponde meglio a quelli che considera i suoi valori e il suo modo di concepire vita e lavoro.
L’elenco delle persone che negli ultimi mesi è uscita dalla porta principale delle imprese nazionali per non farci più ritorno è lungo e variegato per professionalità ed età anagrafica, ma ha un unico, importante comune denominatore: il disinnamoramento dalle aziende per cui lavoravano. Una delusione tanto profonda da impedire loro di restare un solo giorno in più negli uffici che per anni sono stati la loro casa.Oggi non sono più solo le aziende a scegliere
Quello che le organizzazioni non hanno ancora capito bene, come ha evidenziato Pietro Ichino due anni fa nel suo libro L’intelligenza del lavoro. Quando sono i lavoratori a scegliersi l’imprenditore, è che oggi «non è più solo l’impresa a scegliere», ma sempre più spesso succede anche il contrario. Come si svilupperà in futuro la tendenza che Ichino aveva preannunciato anzitempo, nessuno è in grado di dirlo, ma è indubbio che qualcosa stia cambiando nel mercato del lavoro:
«La possibilità di andarsene sbattendo la porta perché c’è l’azienda che ti tratta meglio, sa valorizzare meglio il tuo lavoro, è un fattore di dignità della persona che vive del proprio lavoro che vale molto più di qualsiasi legge, contratto collettivo, o intervento di ispettori, avvocati e giudici»
scrive ancora Ichino toccando un altro tasto importante di questi tempi che è quello della dignità unita al rispetto. Movimenti che i direttori del personale non possono più far finta di non vedere o prendere alla leggera perché oggi come oggi, con un mercato così complesso nessuna organizzazione si può permettere il lusso di investire in personale per poi perderlo nel giro di poco tempo. Motivo per cui tenere basso il tasso di turn over è più che mai è strategico.Engagement, qualcosa va cambiato
Questo significa lavorare seriamente sull’engagement delle persone e non solo per marketing o per moda, ma per missione, per credo e anche per il profitto dell’azienda. «Le persone ingaggiate lavorano meglio, si sentono coinvolte e quindi contribuiscono oltre il loro ruolo, danno valore», precisa Alessandra Giordano, Employability Director e Direttore Delivery di INTOO.
E su questo fronte c’è molto da dire. Un recente studio di Gallup, società Usa di analisi e consulenza, infatti, ha rilevato che, negli ultimi 20 anni, nonostante i miliardi investiti in programmi di engagement, il coinvolgimento dei dipendenti è aumentato in media meno dello 0,5% l’anno. E tra il 2020 e il 2021 è poi crollato del 18% sotto la scure della Pandemia. Cifre che parlano da sole e che suggeriscono due cose.
La prima: non ci può essere coinvolgimento dei dipendenti senza un cambio di mentalità e di cultura manageriale. Alla base di qualsiasi processo di cambiamento ci devono essere infatti programmi di sviluppo per dirigenti e quadri basati su un processo di valutazione delle caratteristiche emotive, cognitive e personali di tutti i dirigenti e i quadri aziendali. La seconda: trovare percorsi diversi per coinvolgere le persone.L’ingaggio parte dall’ascolto
E allora partiamo dall’ABC e chiediamoci: cosa significa engagement? «Un dipendente ingaggiato è un dipendente che sente suoi i valori e gli obiettivi dell’azienda e quindi lavora per la sua soddisfazione e per quella della sua organizzazione», spiega Giordano. «Ma per far condividere i valori, la mission aziendale, la strategia che sta perseguendo un’azienda deve stare sempre in ascolto delle sue persone. Questo significa consentire loro di esprimersi, di confrontarsi, di dare contributi, di fare richieste e proposte per migliorare il proprio benessere e di conseguenza il clima interno all’organizzazione».
E dunque se i programmi di engagement come li abbiamo conosciuti finora danno scarsi risultati iniziamo a chiederci il perché. «Senza ascolto non ci può essere engagement», aggiunge Giordano. «Quante sono le imprese che fanno exit interview per capire i motivi che portano le persone a cercare lavoro altrove? Poche, pochissime.
Capire il motivo che ha portato alle dimissioni è fondamentale, è segno di attenzione e di interesse vero verso le persone, ed è importante per verificare quanto ciò che stiamo offrendo risponda alle esigenze dei dipendenti. Tutto questo porta a migliorarsi, altrimenti continueremo a mettere in pista programmi di engagement che restano ipotesi senza certezza alcuna che possano dare risultati efficaci».
Anche perché quello che oggi funziona come leva di coinvolgimento dei dipendenti fra qualche anno non è detto che funzioni ancora . Le persone crescono, cambiano, mutano i loro obiettivi, le loro esigenze e priorità. Da qui l’importanza per le imprese di mettere in atto sistemi di ascolto, focus group, momenti di confronto, tutto ciò che consenta ai dipendenti di esprimersi.
«Solo in questo modo le organizzazioni avranno modo di capire quali sono i valori o i disvalori che trasmettono al mercato e progettare di conseguenza programmi di engagement, ricordandosi che non basta pensarli una volta ma vanno continuamente monitorati e verificati»
aggiunge Giordano.
Va da sé che la fiducia nel rapporto tra azienda e dipendente sta alla base di tutto ciò, così come la vicinanza alle persone.