/di Marilù Anaclerio
Si è scritto molto su questo argomento e non si finirà mai di farlo. E’ evidente come, infatti, non possano esistere ricette predefinite in quello che – per sua natura – è un incontro suscettibile di diverse variabili, siano esse legate al contesto aziendale cui ci si propone, alle caratteristiche della persona che incontriamo a colloquio o al tipo di ruolo a cui ci stiamo candidando.
Ciò detto, esistono comunque delle regole che possono rendere il nostro colloquio di selezione più efficace e dare ad esso maggiore probabilità di riuscita. Tra queste detiene sicuramente un posto di grande rilevanza la gestione corretta delle cosiddette “domande difficili”.
Vogliamo qui elencare quelle 5 domande che, a nostro avviso, possono risultare più complesse da gestire e, rispetto alle quali, statisticamente i candidati forniscono una risposta non sempre del tutto appropriata.
- “Perché si è candidato/a alla posizione?” – “Perché ho necessità di lavorare, avendo una famiglia da portare avanti e un mutuo sulle spalle”… Chiaramente non può essere questa la risposta! Ricordiamoci sempre che non è lo stato di bisogno che convince un’azienda ad assumerci, ma sono il nostro contributo in termini di efficacia e l’aderenza rispetto alle skills richieste che spostano la scelta. Ad oggi, in uno scenario altamente competitivo, il profilo migliore è quello che ha in sé il giusto mix tra contenuto professionale, potenzialità ed adattabilità al contesto cui si propone, nonché un alto tasso di motivazione nel voler lavorare proprio lì. L’interesse verso una posizione deve essere, quindi, giustificato non da un’esigenza di lavorare per sopravvivere, ma come desiderio di poter operare in un contesto che piace, a cui si guarda da sempre con interesse e nel quale le proprie competenze troverebbero il giusto spazio. La risorsa motivata lavora meglio, con più spinta, con maggiore coinvolgimento ed è a questi aspetti che l’azienda guarda con interesse primario in fase di selezione.
- “Perché dovremmo assumere lei?”. La classica risposta che di solito forniamo è che siamo flessibili e ci adattiamo ad ogni circostanza! In realtà in questo modo non trasmettiamo nessun plus all’azienda, ma risultiamo generici e poco originali. Come ben sappiamo, ad oggi le società assumono chi è in grado di portare un contributo fattivo per il ruolo specifico, proprio perché possono permettersi di scegliere fra una pletora di CV. Dovremmo, quindi, approfittare di questa domanda per meglio raccontare quelle che sono le nostre skills immediatamente spendibili per la mansione, evidenziando le esperienze passate che più ci avvicinano al contesto e sottolineando con esempi concreti come il nostro expertise e le nostre attitudini ben si possano integrare nella loro realtà.
- Quali sarebbero le prime tre azioni che farebbe laddove dovessimo assumerla? La risposta che diamo a questo quesito potrà costituire la leva sulla quale l’azienda deciderà di assumerci oppure, al contrario, potrebbe essere determinante nell’annullare l’interesse verso la nostra candidatura. Il consiglio è di approfondire al meglio, prima dell’incontro, la storia e la mission dell’azienda, così da fornire suggerimenti non solo concreti, ma adatti a quel tipo di realtà. Ad oggi le società possono permettersi di scegliere il candidato migliore che non è solo quello che possiede tutte le technical skills, ma anche la personalità professionale più idonea alle vision aziendale. Una risorsa allineata è, infatti, sicuramente più efficace e motivata nello svolgimento delle attività, oltre ad assicurare una maggiore fidelizzazione e un minor rischio di fuoriuscita. Mostrare, quindi, in un colloquio di aver approfondito e di essersi impegnati da subito (ancor prima di essere assunti) a voler identificare il proprio valore aggiunto per quel contesto, può fare davvero la differenza. Se, al contrario, dessimo a questa domanda una risposta generica – magari anche di buon senso, ma che può essere applicata in ogni contesto e non ha nessuna specificità per l’azienda cui ci si propone – rischieremmo di risultare come persone poco interessate oppure poco orientate all’obiettivo.
- Quali sono le sue aspettative retributive? Domanda rischiosissima laddove, per puntare in alto, ci lasciamo andare a cifre che non siamo sicuri che la controparte possa garantirci. Questa domanda può essere spinosa anche quando conosciamo già in partenza il perimetro contrattuale dell’offerta e, ciò nonostante, proviamo a rilanciare i termini retributivi della proposta. Così facendo, rischiamo che, nel caso in cui non ci fossero margini per una negoziazione al rialzo, l’azienda percepisca da parte nostra maggiore interesse per la parte economica piuttosto che per la valenza professionale e di contenuto della posizione. Anche nel caso ci fossero margini per una ridefinizione dell’aspetto economico sarebbe sempre, comunque, importante che lanciassimo in primis il messaggio che ciò che ci spinge alla scelta è l’interesse sulle attività in cui saremmo coinvolti, sul contesto e, solo poi, sulla retribuzione.
- Prima di concludere il colloquio, ha qualche domanda da farci? Questa è quella che, nel gergo dei recruiter, viene definita come la cd “domanda intelligente” alla quale, nella maggior parte dei casi, non si dà la giusta rilevanza, perché viene posta a conclusione del colloquio quando si pensa che – nel bene o nel male – i giochi siano fatti. In realtà, dalla risposta che forniamo, evidenzieremo se abbiamo ben compreso i termini della posizione, sia dal punto di vista del contenuto che del contesto, ed essa mostrerà inoltre qual è l’aspetto a cui diamo maggiore rilevanza. Non solo il rispondere in maniera non appropriata, ma anche il non rispondere a questa sollecitazione del recruiter non ci fornirà un assist in senso positivo. Anzi, questo atteggiamento denoterà poco interesse e curiosità, oltre a non darci l’opportunità di poter ulteriormente evidenziare la motivazione attraverso quesiti che dovrebbero andare a toccare aspetti quali i piani di sviluppo dell’azienda nel medio-lungo periodo, le evoluzioni in termini di responsabilità della posizione, il dettaglio sulla struttura organizzativa in cui il ruolo si andrebbe ad inserire (ovviamente solo nel caso in cui questi temi non fossero già stati affrontati all’interno del colloquio). Ça va sans dire che i quesiti da evitare di porre riguardino, invece, gli aspetti economico-retributivi che – come regola aurea – devono essere sempre introdotti dall’azienda e, comunque, non devono risultare come la prima e principale leva decisionale-motivazionale che ci spinge ad accettare.
Gestire le domande difficili vuole dire prepararsi al meglio e, così, far capire al selezionatore di aver approfondito il contesto, il ruolo, di aver fatto un lavoro di analisi su se stessi in funzione della realtà nella quale potremmo essere inseriti. Se il colloquio non è scienza certa, fare questo approfondimento, però, sicuramente ci differenzierà e ci mostrerà come persone motivate, convinte, concrete e di contenuto, e ci farà arrivare con molta più probabilità all’obiettivo!
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