Intelligenza Artificiale: l’essere umano può ancora fare la differenza?
Si rincorrono i dati sulla transizione digitale e sui posti di lavoro persi in maniera proporzionale alla pervasività dell’intelligenza artificiale e dei robot, sempre più sofisticati, fino ad arrivare agli umanoidi.
Oltrepassato il livello in cui i macchinari sollevano l’uomo da azioni pesanti e ripetitive, di fatto permettendo il superamento dell’idea fordista della fabbrica, oggi il rischio automazione si pone su un piano diverso, quello delle high skills. Infatti, se un eccellente matematico può accusare la stanchezza e sbagliare, altrettanto non accade a un evoluto software di calcolo; ma il medesimo matematico è lo stesso che comprende la differenza tra una situazione nota e un caso che non rientra nelle casistiche già conosciute e necessita quindi una soluzione diversa. È qui che l’uomo può e deve ancora fare la differenza, guidando la macchina e portandola a sostenerlo su nuovi orizzonti.
Intelligenza artificiale: come cambia il mercato del lavoro
Capiamo, dunque, perché soft skills come la flessibilità e la creatività siano così ricercate e valorizzate in ambito HR, un certo mindset che non rifugge il non-noto ma lo affronta provando a ideare nuove soluzioni, tenendo in conto la complessità della realtà e delle sue variabili. La straordinarietà delle performance dell’intelligenza artificiale piuttosto che dei robot porta – quasi paradossalmente – al potenziamento del brillio dell’umano e delle sue caratteristiche intrinseche.
Non facciamoci trascinare dal disfattismo o da visioni più fantascientifiche che reali, ma una cosa è innegabile: la formazione continua, la capacità di leggere i tempi e di includere e gestire i prodotti dell’innovazione e dell’evoluzione saranno (e sono già) elementi indispensabili della nostra spendibilità su un mercato del lavoro complesso.