Occupazione femminile, diversity&inclusion, gender gap
Termini che riempiono la letteratura di management e i media in generale quasi tutti i giorni. Risultati: pochi, pochissimi. Per rendersene conto basta dare un’occhiata ai numeri dell’ultimo rapporto Istat in base al quale su 334mila occupati in più registrati in un anno (dicembre 2021 vs 2022): 296mila sono uomini (oltre l’88%) e solo 38mila le donne. Con una percentuale occupazione femminile che si attesta al 51,3%, ovvero un misero 0,5% in più rispetto a un anno prima.
Se poi si entra in profondità e si fa a vedere il tasso di occupazione delle donne con figli, la situazione è ancora più desolante. A fotografarla ci ha pensato Save The Children con il suo report Le Equilibriste. Lo scatto evidenzia che, sempre nel 2022, in Italia quasi una mamma su due non ha un lavoro e si dedica unicamente alla famiglia: il 42,6% di quelle tra i 25 e i 54 anni non è occupata e il 39,2% delle donne con 2 o più figli minori è in contratto part-time. Mentre le mamme che a fatica si destreggiano tra lavoro e famiglia sono circa 6 milioni. Un gruppo, come si legge sul report «alla continua ricerca di un equilibrio tra vita familiare e lavorativa, spesso senza supporto e con un carico di cura importante, aggravato negli ultimi anni a causa della pandemia».
Diversity e lavoro femminile: meno retorica più fatti
Al netto della retorica sulla parità di genere, destinata a restare ancora per lungo tempo un sogno, è il caso di prendere finalmente coscienza del fatto che le donne, pur avendo tutte le competenze per ricoprire qualsiasi ruolo professionale, si trovano a dover fare i conti anche con altri impegni che sono quelli legati alla cura dei figli, della casa e talvolta anche dei genitori anziani.
«Non è vero che le donne possono avere tutto: carriera, famiglia, figli», ha scritto nel suo libro Unfinished Business. Women, Men, Work, Family Anne Marie Slaughter, che una decina di anni fa lasciò il suo incarico di direttore della pianificazione politica presso il Dipartimento di Stato degli Usa per occuparsi del figlio adolescente. E non certo per mancanza di capacità, passione, dedizione, piuttosto per mancanza di un vero bilanciamento tra vita e lavoro e per l’assenza di una giusta flessibilità organizzativa all’interno delle imprese.
Lavoro femminile, partiamo dalle piccole cose
Smettiamola, quindi, di parlare dei massimi sistemi e partiamo dalla volontà delle aziende, indipendentemente dalla loro dimensione, di trattenere, ingaggiare e supportare le risorse femminili. Concetti che, a parole, le imprese hanno assimilato, ma che poi, tra le loro mura, spesso si sciolgono come neve al sole con un desolante impatto zero sul divario di genere. A confermarlo è una recente indagine di Viewpoint in base alla quale il 60% delle imprese si dicono convinte che i temi della diversity e dell’inclusione aiutano a ottenere migliori risultati, ma solo il 32% lo ritiene un aspetto critico per il core business. Non solo. Meno di un’organizzazione su 3 ha definito una politica a livello aziendale e circa la metà (51,9%) ha limitato la propria politica a un’iniziativa pilota o singola, il che indica una concentrazione su azioni specifiche piuttosto che su un approccio aziendale globale.
Moms@work e Women4, due strumenti per le aziende
Eppure, non sono necessarie rivoluzioni, bastano corrette scelte di people management, come può essere il programma Moms@work di Intoo, nato per supportare il reinserimento in azienda delle neomamme dopo il periodo di maternità. L’obiettivo del percorso è quello di rendere consapevole la persona rispetto alle competenze che possiede e a quelle generate dall’esperienza della gravidanza come: la capacità di delega, resilienza, ascolto attivo, pianificazione, che poi sono anche tra quelle che oggi le aziende richiedono maggiormente.
Un secondo aspetto interessante, per aziende e neomamme, previsto dal programma è la possibilità di chiarire gli obiettivi e comprendere come ritrovare in azienda una posizione più adatta alle nuove esigenze delle lavoratrici mamme e alla valorizzazione delle loro qualità. Supportate in questa direzione le donne sono in grado di fare una scelta consapevole che consente loro di non cadere nel dilemma lavoro o casa che ancora troppo spesso sono costrette a porsi.
Genitorialità, serve un cambio culturale
E poi, certo, serve un cambio culturale, un diverso concetto di genitorialità un riequilibrio dei compiti di cura tra i membri della coppia, con un maggiore coinvolgimento dei padri. Azione che deve partire prima di tutto dalle donne stesse. Come dice la Slaughter nel suo libro: «Let it go deve diventare il nuovo mantra per le donne che vogliono coinvolgere i mariti nella gestione dei figli e della casa, costruendo una maggiore parità». Ma sul tema della genitorialità anche i padri e i manager delle aziende devono essere coinvolti se si vuole accelerare sul fronte dei risultati.
Non è un caso che il programma Moms@work includa anche i dirigenti aziendali e da qualche tempo a questa parte è stato aperto anche ai padri. Sensibilizzare e allineare i capi su questo modo di affrontare la maternità da parte dell’azienda, infatti è essenziale per riorganizzare il modo di lavorare in funzione delle esigenze delle mamme e dei neogenitori in generale. E il valore aggiunto di questo programma sta proprio nel fatto che le persone sono invitate a condividere idee, preoccupazioni e proposte in modo tale che ogni azienda trovi il proprio modello e che i manager abbiano negli incontri un momento di scambio e di confronto e di co-costruzione a cui oggi si pone sempre più attenzione.
Con obiettivi diversi ma ugualmente posizionante lato B2B è anche il progetto Women4, powered by Gi Group, nato per favorire l’Employability delle donne, soprattutto in quei settori generalmente preclusi alle donne come ad esempio Logistica, Meccanica, ICT, nonché tutto l’universo STEM.
Andiamo oltre le promesse
Per recuperare terreno sul fronte donne/lavoro occorre andare oltre la filosofia e la letteratura, oltre le promesse, oltre le quote rosa. Come ha scritto sulle pagine di Avvenire Mariolina Ceriotti Migliarese, psicoterapeuta e autrice del libro Padri e figli. I sentieri della paternità, dobbiamo iniziare «una strada che accompagni tutti, uomini e donne insieme, alla libertà di scegliere ciascuno la propria strada, secondo la propria natura, secondo il proprio vero desiderio, che nell’uomo e nella donna seguono quasi sempre tempi e modi diversi. Una strada in cui affetti e professione non si contrappongano necessariamente». Riuscire a mettere in fila questi passi significa lavorare anche per incrementare il valore economico delle nostre aziende e della nostra economia in generale.