Di fronte alla domanda: “come va il lavoro?” o “che lavoro cerchi?” i criteri con i quali formuliamo le risposte sono spesso ridotti al minimo e ancora di più pregni della solita mentalità.
Pensiamo, quindi, allo stipendio, al ruolo e alla carriera potenziale nell’azienda in cui già lavoriamo o in quella che stiamo ancora cercando. L’ultimo fattore a cui si pone attenzione e che mettiamo nell’elenco dei pro e dei contro è se l’ambiente lavorativo sia stimolante, cioè se si possa costruire un progetto, creare qualcosa che prima non esisteva con qualcuno, cioè in fondo se ci siano persone da cui imparare, più brave di noi. Affiancarsi al più bravo paradossalmente può sembrare svilente per sé, quasi in contrasto alla valorizzazione delle nostre capacità.
Imparare da chi è più bravo di noi
Non è chiaro, infatti, come essere allenati a superarsi sempre sia uno degli esercizi fondamentali in questo mondo globale e molto competitivo. Questo nel tempo fa la differenza. Imparare è un ruolo che non si smette mai di ricoprire e solo l’apertura estrema a come ragiona l’altro, alle sue diversità, alle sue esperienze, certamente diverse dalle nostre, ci potranno accompagnare dentro un ignoto che nel tempo si tradurrà in innovazione per l’azienda, crescita di fatturato, cambiamento organizzativo, ma soprattutto si traduce nella crescita di sé stessi, nel cambiamento personale. Essere di fianco al più bravo, se diventa una sfida accettata a piene mani, può essere un motore di miglioramento senza pari, quasi un’osmosi che diventa voglia di novità.
È sempre questo criterio che può pesare molto nella scelta di un nuovo posto di lavoro: che il team sia stimolante è una ragione centrale per accettare o meno il ruolo. Sembra esagerato il dirlo, eppure anche il lavoro più soddisfacente del mondo non potrebbe rimanere tale senza un adeguato ambiente lavorativo, che consenta la sussistenza di quella soddisfazione.
Il rischio di limitare noi stessi
La pandemia, però, in questo ha prestato il fianco a una pigrizia che spesso rimane sorda, anche se molto presente. La possibilità del lavoro in remoto, dello smartworking è una grande innovazione sociale, un cambio di passo senza pari, un cambiamento di organizzazione del lavoro che ha concesso un equilibrio. Non è quindi assolutamente un’angolatura del modello organizzativo da demonizzare. Rimane, però, aperta la domanda di quanto questa modalità, per alcuni ormai l’unica modalità di lavoro, sia realmente favorevole sul lungo termine, se inteso in maniera esclusiva.
Proprio nell’ottica di imparare dal più bravo fianco a fianco, il lavoro da remoto ne limita le potenzialità, non lo esclude certamente, ma non si può dire che sia la stessa identica cosa. Un secondo fattore che si inserisce in questa potenziale perdita di competitività prossima a sé è anche il lavoro autonomo. Molte partite IVA sono nate per necessità o su richiesta e alcune di queste professionalità e sono inserite in un ampio contesto lavorativo, mentre altre sono relegate a una vera autonomia, spesso sinonimo di solitudine. Interroga, quindi, anche questa evoluzione del nostro modo di lavorare, che, come tutti i grandi cambiamenti, porta in sé pro, contro, ma soprattutto apre tanti punti interrogativi.