Il Coronavirus no, non è stata una livella. Le donne, in fondo e ancora una volta, sono state le più danneggiate dalla pandemia. A dirlo sono i numeri e gli interventi, almeno alcuni, dei politici.
La più titolata a parlare è proprio la ministra del Lavoro, Nunzia Catalfo, che sulla sua pagina Facebook qualche giorno fa ha dichiarato che «investire sul lavoro femminile rappresenta una grande opportunità per il nostro Paese» sottolineando «quanto le donne lavoratrici siano ancora fortemente svantaggiate rispetto agli uomini».
Perché scrivere ora queste parole? Perché il Coronavirus ha fatto emergere quanto sia ostacolata la permanenza delle donne nel mondo del lavoro, quanto sia spesso solo teoria la conciliazione vita-lavoro, quanto siano le prime nella coppia ad adattarsi alle molteplici esigenze della famiglia piuttosto che a impegnarsi per la propria carriera.
Il ministro Catalfo sottolinea anche un ulteriore elemento, «il gender pay gap». A confermare che il problema esiste è stata a fine ottobre la relazione sul Bilancio di Genere del Mef, illustrata in audizione alle commissioni Bilancio di Senato e Camera dalla sottosegretaria all’Economia, Cecilia Guerra. «Il reddito medio delle donne rappresenta circa il 59,5% di quello degli uomini. Queste evidenze sulle disuguaglianze di genere nei redditi, quando non derivanti da vere e proprie discriminazioni sul mercato del lavoro, sono in larga parte il riflesso della “specializzazione” di genere tra lavoro retribuito e non retribuito, in virtù della quale le donne più frequentemente accettano retribuzioni inferiori a fronte di vantaggi in termini di flessibilità e orari», ha spiegato Guerra.
Una disuguaglianza, quindi, che continua a venire galla, un problema rispetto al quale si cercano soluzioni. Che possono essere politiche, come quelle proposte dal ministro Catalfo: «lo sgravio triennale per tutte le aziende che assumono donne disoccupate da almeno 24 mesi, come previsto nella prossima legge di Bilancio» o, ancora, «risorse per 2,4 miliardi di euro nell’ambito del Recovery Fund dedicati alle donne per avere un futuro lavorativo più sicuro e un impiego di qualità».
È chiaro che le soluzioni non possono essere solamente politiche, ma innanzitutto culturali. È strano che ancora oggi i media esultino per l’elezione della prima rettrice donna dell’università di Roma la Sapienza, Antonella Polimeni, dopo 717 anni della sua storia. Soluzioni che trovano un terreno buono in un cambiamento culturale a livello personale, più ancora che a livello nazionale.
Personale cioè lavorare sulla propria carriera, sulle possibilità, sui talenti che si possono e devono sviluppare. Ma è una presa di posizione o è realismo? Basti leggere la fotografia scattata dall’Osservatorio Smart Working della School of Management del Politecnico di Milano che in una ricerca ha messo in luce numeri e ostacoli: durante il lockdown oltre sei milioni e mezzo di italiani hanno lavorato in sw e a fine dell’emergenza Covid solo una parte di questi tornerà a lavorare. Ma, sottolinea, le difficoltà tecnologiche, la gestione del carico di lavoro e il bilanciamento con le esigenze di vita del lavoro agile, devono far pensare a una nuova normalità.
Per questa ragione, le donne hanno il bisogno reale di prepararsi a tale nuova normalità. Avendo cura, oltre che dei figli, del marito e della casa, anche di sé, della propria carriera. Questo si traduce in valorizzazione nella vita professionale, intesa, cioè, come formazione continua, come individuazione di nuove opportunità offerte dal mercato del lavoro, ma, più di ogni altra cosa, di quali siano le competenze da accrescere e quali quelle da far semplicemente emergere. Come? Tramite l’utilizzo adeguato di strumenti che si possono avere a propria disposizione: un curriculum scritto a regola d’arte per le risorse umane e gli head hunter, un buon utilizzo dei social network e del proprio network, cioè dei collegamenti personali, delle relazioni amichevoli o professionali, persone, quindi, che possono essere il ponte tra le nuove offerte e il nostro profilo.
È un percorso, questo, che la donna può intraprendere con più libertà se troverà anche il compagno della propria vita a sostenerla. Ad essere convinta di poter essere moglie, madre, lavoratrice deve essere lei prima di tutto e con lei chi ne condivide le giornate. Così la rivoluzione del gender gap sarà possibile a partire dal piccolo. E il tutto è fatto di tanti piccoli passi.